Dietro il Conte bis
Li
abbiamo visti dopo il trucco e il parrucco, con tacchi e cravatta
salire al Quirinale per giurare fedeltà alla Repubblica ed alle
Istituzioni. Mentre la borsa saliva, lo spread scendeva e Bruxelles
salutava con plauso gaudente i nuovi Ministri. Ma ciò che abbiamo visto
al giuramento è davvero il volto del nuovo esecutivo del Conte bis? O è
solo un sorriso di circostanza e la faccia di rappresentanza?
Ciò che è subito saltato
all’occhio per questo nuovo governo nato dalle trattative di Palazzo e
costruito a tavolino, forse suggerito (non solo) da Roma, è il mancato
bagno di folla plaudente che solitamente riempie Piazza del Quirinale
prima della pronuncia della formula di rito.
I soliti bene informati
riferiscono che il giorno prima della salita da Mattarella per la
presentazione della lista dei Ministri, le luci dell’ufficio di Conte di
Palazzo Chigi siano rimaste accese fino a tarda notte se non fino a
mattino presto. Segno che il Premier incaricato ha dovuto smussare, se
non mediare, fino all’ultimo per la composizione della nuova squadra.
Pare che a notte fonda in ambiente pd sia circolato un messaggino che
recitava “è saltato tutto”: il nodo era circa il veto per la carica di
sottosegretario al Consiglio dei Ministri da parte di Di Maio che, se
non è riuscito a diventare vice premier, avrebbe voluto affidare tale
compito delicato, lasciato vuoto dal potentissimo Giorgetti, ad un suo
fedelissimo. Così come poi è stato con Roberto Chieppa. Ciò fa
presupporre che il capo politico del Movimento 5 Stelle non nutre piena
fiducia nemmeno del professor Conte, nonostante sia una sua scelta
disegnata e difesa con i denti, soprattutto dopo che il Premier, nei
giorno scorsi, si è più volte “smarcato” dall’etichetta pentastellata.
Il che fa presagire un’apertura sempre maggiore verso il Pd. Lo stesso
pd scontento di questo “compromesso” cui vuole porre rimedio quanto
prima (forse per reciproca sfiducia?) e che per bilanciare gli equilibri
(e assicurarsi il potere) punta alla presidenza delle società
partecipate che a breve si dovranno rinnovare.
Altra cosa che si notata è
l’assenza dei “big” del partito di Largo Nazareno: nessuna carica,
nessun ministero principale è stato affidato ai veterani piddini,
eccezion fatta per la nomina di Dario Franceschini alla cultura (ed in
queste ore di Paolo Gentiloni a commissario europeo). E con Di Maio alla
Farnesina tutto fa presagire che si vada verso una futura e stretta
collaborazione in ambito estero ma anche nazionale. Gentiloni potrebbe
diventare un prezioso consigliere per l’inesperto Di Maio e dunque
lavorare per tessere le fila di una alleanza anche in vista delle
imminente elezioni regionali. Dell’Umbria in primis.
Guardando al Parlamento
nostrano, il 5 Stelle si troverebbe in difficoltà non solo verso quelli
che “potrebbero rappresentare” i garanti della nuova legislatura,
essenziali per lo scampato pericolo delle elezioni, ma anche per
garantire una maggioranza affinché questa legislatura duri.
Se è vero come dicono che
il loro è stato ottimo lavoro verrebbe naturale chiedersi il motivo per
cui non è bastato sostituire i ministeri lasciati vuoti dalla Lega con
quelli del Pd, ma si è dovuto affidare anche un ministero (di peso) al
gruppo misto (ai Leu Grasso e Boldrini) per poter contare su una
maggioranza che appare ancora molto molto risicata.
L’ago della bilancia
potrebbe essere rappresentato addirittura da Forza Italia che potrebbe
decidere di tenere in vita il governo ogni qualvolta si presenterà
nell’aula di palazzo Madama per votare un emendamento, una proposta di
legge o un decreto. Quella forza centrista liberale e partner naturale
di coalizione che ha sempre chiesto al leader della Lega di “staccare la
spina” al governo giallo-verde. Dunque sarà interessante vedere se
Berlusconi, Tajani, Carfagna e Bernini saranno coerenti con le loro
richieste e chiederanno ancora di andare al voto opponendosi alla guida
di questa 66esima legislatura o saranno fedeli verso quel patto che è
stato il Nazareno.
Intanto non è passata
inosservata la decisione di Matteo Salvini di garantire la propria
presenza lunedì prossimo in piazza Montecitorio accanto alla leader di
Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, quando il nuovo esecutivo si recherà
in aula per ottenere la fiducia. Una piazza che sarà un forte segnale di
coesione e compattezza dopo che il leader della Lega aveva indetto
la manifestazione dell’orgoglio nazionale per il 19 di ottobre, vista
come la “sua” manifestazione.
Risultano, quindi,
infondate le voci di una spaccatura che i “franchi tiratori” avevano
voluto vedere nel manifestare ognuno per sé.
Sarà fondamentale osservare
non solo il comportamento di Berlusconi, ma anche quelli del gruppo
misto ed autonomi: Gregorio De Falco e Elena Fattori su tutti, entrambi
espulsi dal 5 stelle che ancora non hanno secretato le proprie
decisioni.
Fiducia o meno che sia
lunedì, questa sarà un’altra legislatura al cardiopalma visto che la
fiducia dovranno conquistare a ogni volta che si recheranno in uno dei
due emicicli e verso quegli italiani, se non contrari, almeno scettici.
Quegli Italiani la cui assordante assenza è stata notata Piazza del
Quirinale venerdì 5 settembre.
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